di Paola Mussoni

            Esiste un Paese dove nonostante sia arrivata la contaminazione del progresso non l’ha distratto dalle sue tradizioni millenarie, dai suoi ritmi, lenti e pacati, dalla sua semplicità e serenità di vivere.

 

            Fermo nel tempo, che mostra con i mille sorrisi d’oro zecchino delle sue genti, con i mille allegri colori dei variopinti e comodi costumi portati con quotidiana semplicità e orgoglio nazionale, in casa come nelle vie cittadine che appaiono naturale estensione del loro  vivere la comunione di fraternità e l’unione della famiglia, e con la spontaneità dei gesti quotidiani, dal lavoro ai pasti, dai giochi dei piccoli, ma anche dei grandi, alla preghiera, intima o in comunità.

 

            E’ un Paese che trasmette pace ed il ritorno ad una vita sana e serena, lontana dalle frenesie, dagli arrivismi, da tutto ciò che logora, e tutto questo con un sorriso spontaneo e gentile che ti apre il cuore, ti rassicura e ti fa sentire subito in famiglia.

            Quella gentilezza che è insita in tutte quelle genti che hanno il cuore sincero e la sicurezza della propria identità di persone e di popolo.

            Un popolo formato da famiglie patriarcali, numerose ed unite, nelle quali si tramanda il rispetto delle tradizioni che è radicato ancora nei giovani, che si stringono attorno al fulcro del loro passato di saggezza ed umanità.

            Come sanno inchinarsi dinanzi al loro Dio, in raccoglimento ed umiltà, senza ostentazioni e fanatismo.

            In quei luoghi di culto, trasformati a volte in botteghe artigianali, distanti dall’osservanza a tutti i costi.

 

            Ma il loro spirito è forte, fieri di una cultura millenaria che attraverso i secoli e le importanti figure di conquistatori, dal macedone Allessandro Magno, al mongolo Gengis Kan, al turco Tamerlano, guerrieri, ma anche saggi uomini di potere, e di famosi astronomi, matematici e poeti, hanno ereditato e forgiato un carattere di popolo austero e inflessibile, che si è dovuto piegare, ma non si è spezzato, solo alla dominazione russa, dalla quale per fortuna si è già riscattato, ma che purtroppo ne porta ancora inevitabilmente i segni.

            Oggi, ufficialmente governato da una democrazia pluripartitica, è in realtà soggetto al regime del suo presidente Islam Karimov.

 

            Non è un Paese facilissimo da affrontare, date tangibili difficoltà logistiche e di trasporto: gli hotel stanno cercando di equipararsi agli standard europei ed i mezzi sono alquanto obsoleti, ma vale la pena affrontare piccoli disagi adattandosi alla realtà locale, per non perdere il fascino di questa terra che respira ancora al ritmo segreto del suo passato, il fascino di questo tempo che forse, inevitabilmente, cambierà ritmi ed usanze, che il progresso ed il turismo di massa probabilmente contageranno, pian piano, nel tempo.

 

I ristoranti poi sono rari al di fuori degli alberghi, ma vi si può ovviare approfittando dell’ospitalità di alcune famiglie che si sono organizzate per ricevere i turisti nelle loro semplici ma accoglienti case, facendo assaporare la loro cucina ricca di condimenti saporiti, verdure e legumi, yogurt e carni grigliate o stufate, pane e pasticceria elaborati e l’onnipresente riso pilaf cucinato in ben 40 modi diversi, creando così anche un’atmosfera più intima per i viaggiatori che si trovano più a contatto con le usanze e l’umanità di queste genti, raccolte intorno ad un cortile, centro del loro vivere quotidiano, dove ci lasciano spazio per adagiarci a riposare sui loro enormi sofà in legno intagliato, ammorbiditi da tappeti e coperte ricamate, dove ti senti veramente a casa.

            L’Uzbekistan si annida nel cuore dell’Asia, nell’antica culla formata dai fiumi Amu-Darya e Syr-Darya che confluiscono nel grande lago salato Aral; è il Paese più ricco di storia fra tutte le repubbliche centro-asiatiche, la meta di questo viaggio è infatti la grande storia e il suo fluire, quindi assaporiamone la cultura nata dall’incontro-scontro tra Oriente ed Occidente, ed il sensuale fascino di un’architettura e di un’arte superbe a cui rispondono paesaggi di ostica bellezza.

 

            Ma andiamo per ordine e cominciamo a conoscere le sue bellissime città, tra le più antiche del mondo, dove si trovano alcuni dei più raffinati e audaci esempi di architettura sacra islamica, tra mausolei, madrase, moschee e slanciati minareti che ne caratterizzano il panorama.

 

           

Appena arrivati, ci accoglie Tashkent, la capitale situata nella parte est del Paese, col suo aeroporto che trapela già linee orientaleggianti, ordine e pulizia; sembra strano infatti osservare semplici ma colorate donne che curve ramazzano, con piccole e rudimentali scope, piazzali e parcheggi dell’aerostazione, o ridipingono, con in mano barattolo di vernice e pennello, i cordoli dei marciapiedi; quadri inusuali, che rivedremo però più volte lungo il tragitto.

            Questa moderna città è una vera metropoli risorta dopo il catastrofico terremoto del ’66 e che, sopravvissuta all’incuria sovietica, ha preso le distanze dai fatiscenti palazzoni russi cercando di rifarsi il maquillage con moderni e nuovi edifici pubblici dalle piacevoli architetture, contornati da vasti spazi a verde.

 

            Ma la vera emozione e scoperta ti prende quando entri effettivamente nel regno delle “mille e una notte”, e allora, spostandosi nel centro-sud del Paese, ti appare come una vera e propria oasi in mezzo al deserto Bukhara, nella sua veste fiabesca, che ti immerge in un altro mondo, un altro spazio ed un altro tempo.

            Ben più di 140 dei suoi monumenti sono protetti dall’UNESCO, le sue moschee, i minareti, fra cui Kalan risalente al XII sec. e alto 47 m., un tempo l’edificio più alto dell’Asia, e madrase, antiche scuole islamiche dove si insegnava il corano, codice religioso e sociale, ti abbagliano con i loro rivestimenti a maioliche variopinte, dal blu del cielo, al bianco della purezza, al verde dell’Islam, che vanno a formare mille arabeschi combinati alla scrittura islamica di versetti del corano e a disegni geometrici e floreali dai diversi significati, e che contrastano col monocromatismo dei mattoni in terracotta delle più antiche case e monumenti.

 

            Ma troveremo anche originali raffigurazioni di animali fantastici, nei timpani delle numerose madrase, nonostante la proibizione dell’Islam di rappresentare esseri viventi.

 

            “Bukhara la Nobile”, ritenuta la città più sacra dell’Asia centrale, la città delle moschee, dove si recano gli uomini per la preghiera del venerdì, agghindati con i loro tipici abiti, che lasciano trapelare lo spirito del pensiero, in genere scuri, ma ravvivati a volte dal bluette di una sorta di lunga vestaglia imbottita, e particolari copricapo, come il “dopy”, una papalina nera quadrangolare con ricami bianchi, mentre le donne musulmane pregano nel riserbo delle proprie case.

            Mentre noi ci facciamo prendere dal più terreno richiamo dei numerosi animatissimi bazar e brulicanti mercati odorosi di spezie, dove spendere, imparando l’arte della contrattazione, i loro ingombranti “sum”.

            Bazar straripanti delle loro merci artigianali, dai preziosi tappeti e intagli in legno, alle tipiche “sushine” di seta ricamate a mano, rivelatrici un tempo della sposa più attenta ed accurata, e mercati vivaci e coloratissimi che espongono le più svariate mercanzie, dalle stoffe ed abiti variopinti, ai cibi e spezie esposti sfusi, accattivanti con le loro fragranze di profumi ed aromi particolari, venduti da personaggi che non si può fare a meno di immortalare in scatti rubati ai loro gesti quotidiani.

 

            Semplici gesti quotidiani degli ospitali abitanti di questa antica città, che emanano un fascino paragonabile a quello dei suoi monumenti, che ripetono, instancabili, nella seicentesca piazza Labi-hauz costruita intorno ad una vasca, nel sapiente lavoro di antichi ma semplici mestieri, o nel diletto di giochi passatempo immutati nei secoli.

        Come immutati sono quegli sconfinati paesaggi che ti passano sotto gli occhi mentre attraversi steppe desolate, vaste praterie punteggiate da mandrie al pascolo, o radunate in mercati di bestiame di antica memoria, dove lo scambio ed il possesso di animali da pastorizia ha ancora un significato di ricchezza e prosperità per le comunità; quelle comunità un tempo seminomade che attraversavano steppe e deserti con carovane di cammelli che, esaurita la loro scorta d’acqua dopo 42 km. di cammino, trovavano provvidenziali “sardoba”, cisterne circolari a cupola costruite in mattoni, dove potersi riapprovvigionare, oggi quasi introvabili, la cui sagoma arcaica è sostituita purtroppo dal profilo di moderne ciminiere e raffinerie di gas e petrolio, che comunque costituiscono la ricchezza odierna del Paese.

 

            Si giunge così, proseguendo verso sud-est, nella città natale del famoso Tamerlano, Shakhrisabz, che ci accoglie con nell’aria già i preparativi per i festeggiamenti del “Navruz”, la festa di primavera, quando tutto si risveglia, la natura, la voglia di vivere e di far continuare la vita, ed ecco allora candide spose accompagnate da stuoli di parenti in costumi tipici, e timidi bimbetti vestiti a festa con i loro occhioni neri dal taglio che palesa chiaramente la discendenza mongola e la manina prudenzialmente agganciata alle vesti colorate delle belle figure di madri gentili e protettive, che si distinguono dalle ragazze nubili dal diverso numero di treccine raccolte sulle spalle e che hanno come segno distintivo, considerato caratteristica di bellezza, la particolarità di unire le sopracciglia alla radice del naso.

 

            Il tutto sotto lo sguardo dell’imponente statua del condottiero Amir Temur e con sullo sfondo le gigantesche rovine del suo, una volta, maestoso palazzo che risplende sotto i raggi del sole con i suoi unici mosaici dorati.

       

   Il viaggio continua attraverso campi sterminati che si innalzano via via all’orizzonte verso montagne sempre più alte ed innevate, e inframmezzati di tanto in tanto da rustici villaggi che occhieggiano su verdi colline che contrastano con l’ocra delle case costruite ancora sapientemente con mattoni d’argilla impastata a paglia, che le rende fresche d’estate e calde nei più rigidi mesi invernali.

 

            E qui siamo accolti e rifocillati da una numerosa famiglia dedita alla fabbricazione di rustici tappeti, raccolta tutta in una semplice fattoria dove si colgono i segni delle quotidiane attività familiari, dai tipici forni per il pane, ai caratteristici recipienti per la raccolta del latte che sfama i numerosi bimbi di tutte le età, così tranquilli e sereni nei loro semplici ma originali abiti e copricapo colorati che evidenziano le fattezze paffute dei loro rubicondi visetti, mentre le sapienti mani delle rugose nonne filano la lana destinata ai loro manufatti.

            E, continuando il viaggio verso nord, passiamo dalla semplicità di questi umili villaggi alla sfarzosa magnificenza della mitica Samarkanda, nome che evoca antiche suggestioni di un sontuoso passato leggendario, tra fiaba e realtà, di personaggi in viaggio sulle rotte della lunga ed antica “Via della Seta”, rete carovaniera che dal II sec. A.C. per ben 700 anni legò con quel misterioso filo sottile, leggero e forte nello stesso tempo, l’Oriente all’Occidente, percorsa anche dal nostro Marco Polo che favorì i commerci di questo pregiato tessuto e la conoscenza di questo nuovo mondo e delle sue fantastiche ricchezze.

            Pregevoli ricchezze architettoniche, dovute principalmente al volere del mecenate Tamerlano che rese Samarkanda una splendida capitale islamica, facendo costruire superbi ed immensi monumenti rimasti a testimonianza della sua grandezza, non solo di conquistatore, ma anche di saggio, come trapela dal suo pensiero: “la forza è nella giustizia”; e che seppe quindi fare di questa città l’epicentro economico e culturale dell’Asia centrale tra il XIV e XV secolo.

          L’eleganza delle decorazioni nelle piastrelle policrome e la purezza ed armonia delle linee incantano nel meraviglioso complesso del Registan, composto da maestose ed imponenti madrase che prospettano su un’ampia piazza e inglobano spazi ben proporzionati.

 

            Le splendide sfumature dell’azzurro e del blu dei mosaici caratterizzano tutti i suoi monumenti facendo da filo conduttore dalle madrase, alle moschee, ai mausolei e tombe.

 

            Uno dei luoghi più suggestivi è infatti la necropoli Shahi-Zinda, la via con le tombe dei familiari e favoriti di Tamerlano, che sono tra le migliori opere della città realizzate con piastrelle di maiolica.

            Ma la magnificenza dei mosaici a maiolica e delle decorazioni esplode nella ricercatezza del suo mausoleo, che risplende ancor più nello sfavillio delle luci e riflessi che lo illuminano nelle buie notti cittadine, rischiarate quasi esclusivamente dalle stelle lucenti che punteggiano la volta celeste.

 

            Quelle stelle studiate già agli inizi del 1.400 dall’astronomo Ulughbek, nipote dell’emiro, che ha lasciato come testimonianza un enorme e suggestivo astrolabio alto 30 m., la più grande costruzione astronomica medievale per l’osservazione della posizione degli astri.

 

            Quegli astri che ci indicano proprio oggi, 21 marzo, il passaggio dal freddo inverno, alla più bella e tiepida stagione primaverile.

          

  Ed allora eccoci finalmente nel festoso, caotico e colorato raduno nell’occasione della festa del “Navruz”, la più grande festività dell’Asia centrale, che cade proprio durante l’equinozio di primavera, celebrazione quindi del nuovo giorno, della rinascita.

 

            E così varie comunità, da diverse regioni del Paese, si riversano in luoghi prestabiliti, qui nei dintorni di Farish, villaggio a nord di Samarkanda, adatti ad accogliere centinaia di persone che con ogni tipo di mezzo, dagli instancabili asinelli, alle moto e sidecar, che noi sicuramente definiremmo d’epoca, dalle macchine zeppe di persone, ai furgoni caricati all’inverosimile con tappeti, tavoli, sedie e vettovaglie, per trascorrere la giornata all’insegna dell’allegria, delle tradizioni e del divertimento.

 

            Infatti il clou della festa è un tipico gioco nazionale, il “Kupkari”, gioco a squadre in sella a poderosi cavalli che ha l’intento di accaparrarsi una carcassa di pecora, difenderla dai feroci attacchi degli altri contendenti, e conquistare finalmente la meta depositando lo strapazzato animale in un cerchio disegnato sul terreno.

 

            Tutto questo contornato dal fragore della folla infervorata dal ritmo serrato della giostra e dalle continue emozioni che riserva, soprattutto quando accade che i cavalli, nella loro pazza corsa, si dirigono verso gli spettatori assiepati tutt’intorno seminando il panico, ma per fortuna non causando incidenti, dato che i cavalli, da animali intelligenti quali sono, non calpestano mai le persone, ma le saltano, facendole tornare a respirare.

 

            E tutto intorno musiche e balli, con strumenti e costumi folcloristici, tavole imbandite con i cibi della festa e le tipiche tende tonde e coloratissime allestite per noi turisti, che ci accolgono tappezzate di tappeti e tessuti variopinti e ricamati, già apparecchiate per farci gustare i particolari sapori della loro tradizione, culminanti nel famoso “plof”, piatto a base di riso, sapientemente cucinato per tutta la mattina in un grosso calderone dal cuoco, con tanto di cappello da chef, che non ha mai smesso di rimestarlo per non far attaccare i chicchi ben tostati uno all’altro, come dettano antiche regole, pena in passato la morte, servito con bocconcini di montone, zafferano, carote ed uvetta, veramente squisito.

            Il tutto accompagnato dall’onnipresente tè verde ed alla fine da un buon bicchierino di vodka.

            I festeggiamenti continuano in quelle terre isolate e sconfinate dove l’orizzonte è lontano e, mentre ci allontaniamo per attraversare altrettante sconfinate aride steppe, risuonano ancora gli echi di quel clamore pulito e spontaneo di altri tempi, che ci accompagna alla scoperta di un altro tesoro perso nel tempo: Khiva.

 

            Attraversando in volo le distese sabbiose del Kizilkum, il rosso deserto centrale, verso occidente ed il Mar Caspio sorge, tra frutteti e campi di cotone, questa città-museo a cielo aperto, che ci accoglie nell’abbraccio delle sue possenti, ma sinuose mura merlate.

 

            Fondata come vuole la leggenda da Sem, figlio di Noè, che qui scavò un pozzo, è rimasta integra e ben conservata, e risplende, dopo il blu di Samarkanda ed il marrone di Bukhara, del turchese delle sue piastrelle di squisita fattura.

            Il compatto ed intatto centro storico “Ichan Kala”  è reso ancor più affascinante dalla sensazione di uno spazio architettonico e scenico che sembra senza tempo, con le sue botteghe artigianali dove prosperano scuole che tramandano e ravvivano antichi mestieri, come l’intaglio del legno, la battitura ed il cesello di metalli più o meno preziosi, e la lavorazione dell’impalpabile e cangiante seta, dall’allevamento dei bachi, alla tintura delle matasse con colori naturali asciugate poi al sole, alla finale tessitura su telai in legno, da dove nascono mille disegni ripresi dalle miniature di antichi manoscritti.

 

            Questa perla dell’architettura islamica è un dedalo di antiche viuzze tranquille, che si dipanano tra vetusti monumenti, la fortezza Kukhna Ark con l’harem e le vecchie prigioni, le fitte moschee, le tombe, i palazzi e le madrase, che incantano la vista con stupendi ed originali ricami che si intrecciano fra disegni arabescati, architetture a traforo, volte di cupole arricchite da fantastiche stalattiti arabeggianti, capitelli e basamenti in pietra lavorati a bassorilievo, fini intarsi, soffitti lignei a disegni multicolori, e intagli lignei, di portali uno diverso dall’altro e di colonne scolpite in stile arabo alte oltre 3 m., che nel numero di 218 arricchiscono, come in una selva di alberi gioiello, la meravigliosa moschea Juma.

          E sopra tutto svettano i magnifici e multiformi minareti, da dove si spandono melodiose preghiere del “muezzin” che riecheggiano nelle vie e negli animi, rivestiti dalle famose piastrelle turchesi decorate di rara bellezza.

 

            L’impatto del rientro a casa, nella cosiddetta civiltà, è duro, si può solo pensare di affrontarlo con ancora nella mente e nel cuore l’atmosfera magica e fiabesca di una terra incantata ed i ritmi lenti e pacati di una civiltà antica e gloriosa che perdura nonostante tutto e che ci ha insegnato ed impresso un’altra filosofia di vita, al di fuori del tempo.