Nella UE la non armonizzazione dei trattamenti fiscali ha significato penalizzazioni per alcuni, vantaggi per altri.
In un giorno qualsiasi di una normale giornata nella quale gli impiegati, come sono soliti fare, si lamentano del loro lavoro, dei loro colleghi, del loro direttore può capitare che senza alcuna sollecitazione quest’ultimo riceve un fax spedito dalla Romania, oppure una e-mail, oppure una telefonata e la vita per quegli impiegati può prendere improvvisamente una piega imprevista quanto amara. Il tenore della comunicazione più o meno è il seguente:
Caro Direttore, perché spendere i soldi per l’ufficio, per mantenere chissà quanti impiegati, per pagare computer, internet e telefoni, quando se tu affidi la tua attività a noi, ti assicuriamo il suo normale svolgimento tramite nostri uomini e mezzi situati nel nostro Paese, a costi tali che tu produrrai sicuramente più profitto di quanto sei riuscito a fare finora?
Sinceramente, quale imprenditore, magari reduce da una accesa discussione con i rappresentanti sindacali dei dipendenti, riesce a rimanere insensibile di fronte a un tale richiamo?
Commercialmente parlando già è stato varato un termine accattivante per questo ennesimo attentato ai danni dell’occupazione nostrana: delocalizzazione.

Siamo venuti a conoscenza che anche le compagnie aeree sono rimaste attratte da questa possibilità e qualcuna ha pensato bene di far migrare ad esempio il reparto contabilità in un Paese dell’est Europa con relativo ridimensionamento della forza lavoro italiana, questo ovviamente in aggiunta al trasferimento già avvenuto da tempo del reparto prenotazioni in un call center chissà dove situato.
Di tutte queste novità dobbiamo ringraziare il mercato unico e la conseguente caduta delle frontiere.
Di certo le aperture comunitarie al di là delle rose hanno anche significato non poche spine circa le quali ben poche informazioni erano state fornite ai cittadini.
La scorsa primavera, prima che si andasse a votare, in una nostra città del nord qualcuno aveva avuto l’accortezza di far affiggere ai lati degli autobus di linea una pubblicità ove si vedevano quattro sezioni differentemente colorate ognuna delle quali si riferiva a un paese europeo. Il messaggio a grosse linee era il seguente: partendo per tutti i quattro paesi da uno stipendio lordo di 2.000 euro, in tre nazioni europee l’impiegato si metteva in tasca 1.800, 1.600, 1.500 euro, in Italia – ultima della serie – l’impiegato incassava 1200 euro.
La pubblicità era davvero istruttiva in quanto faceva capire al volo che il problema dei bassi salari, a causa dei quali la vita in Italia è divenuta precaria, non dipende dal fatto che da noi i datori di lavoro pagano meno, quanto piuttosto da quello che lo Stato trattiene in busta paga. E non si capisce proprio per quale motivo i rappresentanti dei lavoratori non spingono sul fronte della riduzione di questo cuneo fiscale, piuttosto che contrapporsi sempre e soltanto con gli imprenditori.

Poiché non possiamo credere che queste cose non fossero note agli addetti ai lavori, ciò significa che non era difficile immaginare che il Paese-Italia, una volta che l’Unione Europea entrava a regime, fosse destinato ad andare incontro a brutte sorprese.

Mentre in tutti questi anni ad esempio a Bruxelles si è cercato di fare le pulci alle compagnie aeree per vedere chi faceva pagare più caro il biglietto aereo o chi applicava la fuel surcharge più alta, ogni Paese della Unione è rimasto libero di applicare la tassazione che gli faceva comodo. In poche parole l’armonizzazione fiscale non è stata mai attuata.

Avete un’idea di cosa può accadere in un mercato ove capitali e persone possono liberamente circolare e qualcuno gode di un regime fiscale più favorevole?

“Nel passato quando era la IATA a stabilire le tariffe, una compagnia come Aer Lingus, anche se in casa poteva vantare punti di forza, sarebbe stata assolutamente impossibilitata a trarne vantaggi: da Dublino a Parigi – ad esempio -i suoi servizi dovevano applicare la stessa tariffa venduta da Air France sulla corrispondente rotta in uscita da Parigi. Da questo punto di vista dobbiamo almeno riconoscere che a nessun vettore era permesso disturbare la quiete del mercato traendo vantaggio, appunto, dalle differenze fiscali e retributive che potevano sussistere fra un Paese e l’altro.
Oggi una Ryanair, così come le altre LCC europee, grazie alle normative comunitarie possono invece attuare, dal punto di vista operativo e tariffario, ciò che esse ritengono più opportuno e lo possono fare applicando le tariffe che le “proprie condizioni economiche” permettono. Ma appare evidente come quest’ultime derivino in via primaria dalla normativa fiscale che pesa sul vettore nella sua base di residenza.
In Europa le varie liberalizzazioni imposte di autorità non sono state precedute da una armonizzazione fiscale. In quest’ultimo settore ogni paese è lasciato libero di operare come meglio crede. Con tali presupposti accade che le aziende con sede in una nazione dalle politiche fiscali “più generose” partono avvantaggiati rispetto ad altri. E’ davvero insolito dover annotare tali critiche in un continente ove le autorità antitrust tendono a spaccare il capello in due con l’intento di non creare posizioni dominanti.” (Le Robin Hood dell’Aria, Ed. Travel Factory, Roma 2008)

Quindi senza nulla voler togliere ai meriti di una Ryanair, appare però evidente come questa risulti avvantaggiata rispetto ai suoi concorrenti in quanto l’Irlanda è il paese europeo con la più bassa pressione fiscale.

Punti percentuali di Tassazione in Europa
(www.oecd.org)

IRLANDA        22.3
SVIZZERA        29.6
REGNO UNITO        34.1
PORTOGALLO        37.4
LUSSEMBURGO    37.5
NORVEGIA        37.5
DANIMARCA        41.3
GRECIA            42.3
FINLANDIA        43.7
OLANDA        44.0
ITALIA            45.9
FRANCIA        49.2
GERMANIA        52.2
BELGIO            55.5

E non è certamente casuale se al recente voto del giugno scorso cui sono stati chiamati gli irlandesi per dare la loro adesione al Trattato di Lisbona, la risposta è stata un secco: no, grazie. Va ricordato infatti che la perdita della sovranità fiscale era uno dei punti in discussione.
Ma il discorso non si esaurisce qui. Ai vettori appartenenti alla UE è permesso operare non solo servizi da/per il proprio paese di appartenenza, ma anche su settori cosiddetti di cabotaggio, ossia in casa altrui. Ciò significa che i vantaggi di questi vettori non sono limitati ai soli servizi in uscita dalla loro base di armamento, ma su tutti quei collegamenti intra-UE ove essi operano.
Nella passata stagione estiva 2007, la Ryanair ad esempio offriva dallo scalo di Orio al Serio le seguenti destinazioni:

Amburgo/Lubecca    Germania
Barcellona/Girona    Spagna
Bratislava        Slovacchia
Brema            Germania
Bruxelles        Belgio
Dublino            Irlanda
East Midlands        U.K.
Eindhoven        Olanda
Francoforte        Germania
Glasgow            U.K.
Granada            Spagna
Liverpool        U.K.
Londra            U.K.
Newcastle        U.K.
Oslo            Norvegia
Parigi            Francia
Roma            Italia
Saragoza        Spagna
Shannon        Irlanda
Siviglia            Spagna
Stoccolma        Svezia
Valencia            Spagna
Valladolid        Spagna
Weeze            Germania

Come si vede, su un totale di 24 destinazioni offerte, solo due collegamenti riguardavano Italia-Irlanda, ovvero servizi svolti tra il paese di bandiera della compagnia e l’Italia, ma i rimanenti 22 servizi erano collegamenti “trasversali”, operati tra paesi differenti da quello della bandiera del vettore e sui quali quest’ultimo può applicare liberamente le “sue” tariffe.
E non è certo casuale che i vettori di bandiera di paesi come Francia e Germania, anch’essi caratterizzati da un elevato costo del lavoro, hanno rinunciato a fare la guerra sulle tariffe a corto raggio puntando alla costruzione di aerolinee intercontinentali le quali usano gli avvicinamenti europei solo come fonte di feederaggio per il loro long haul.

Quindi riassumendo, se all’interno della UE vi è una nazione la quale si può avvalere di un costo del personale ridotto, è evidente che essa può immettere sul mercato tariffe più basse rispetto a quei vettori che hanno invece alti costi del lavoro. E le tariffe più basse non vengono applicate solo sui collegamenti da/per gli aeroporti “di casa” di quel vettore, ma possono riguardare sia i servizi in cabotaggio (ad esempio vettore irlandese sulla Bergamo-Roma) sia in settima libertà (ad esempio vettore irlandese che effettua un servizio tra l’Italia e la Spagna).
Di fronte a queste novità che sono state permesse in Europa nel settore dell’aviazione civile, per quelle aerolinee che non si sono costruite un loro ruolo intercontinentale, il futuro è decisamente nero.
Una compagnia italiana non avrebbe mai potuto divenire una “Ryanair” in casa altrui per i motivi che abbiamo specificato: se ne deduce pertanto che nella UE la mancata armonizzazione dei trattamenti fiscali ha significato penalizzazioni per alcuni, vantaggi per altri. Ma la discriminazione per la verità non sembra richiami molto l’attenzione da parte delle competenti autorità.

Antonio Bordoni