di Antonio Bordoni. 

Si riuniscono una volta all’anno sotto l’egida del NCEO National Center for Employees Ownership la cui imminente assemblea si terrà ad Atlanta il 18-20 aprile prossimi. L’Associazione raggruppa i dipendenti di tutte quelle società il cui pacchetto azionario è parzialmente o totalmente controllato dai lavoratori stessi (1).  L’idea di base  rimane un semplice concetto, ovvero che non c’è miglior conduttore di chi è addentro ai problemi e peculiarità della sua  compagnia. (2)

Quando Alitalia è stata commissariata nel maggio del 2017 fra le varie ipotesi che si affacciarono sulla scena oltre alle solite compagnie aeree straniere e fondi di investimento, ve ne fu una alquanto insolita lanciata da due comandanti di Alitalia i quali hanno invitato i loro colleghi ad acquistare quote del vettore al fine di diventarne azionisti tramite quello che in gergo viene denominato “management buyout”. (3)  In un secondo passaggio gli interessati potrebbero decidere se diventare o meno soci della NewCo che si costituirà utilizzando parte del TFR maturato. Tutto ciò insieme a partner finanziari italiani. In pratica si tratterebbe di mettere in atto quello che negli Usa, come dimostra l’NCEO, è già una concreta realtà.

La critica principale che si muove alla soluzione italiana è che essa viene collegata al timore di altri soldi sottratti ai contribuenti per mantenere in vita la compagnia, tuttavia vi è da dire che ovunque ci si rigiri tutti gli altri Paesi europei hanno ancora ciascuno la propria compagnia aerea.  Ma soprattutto rimane il fatto che uno spezzatino o vendita del nostro vettore significherebbe mandare in fumo e vanificare un know how che ha accompagnato decenni di successo della nostra aviazione civile: è questo  che bisogna assolutamente evitare, è questo l’obiettivo che la nuova classe politica salita alla ribalta dopo il voto del 4 marzo dovrebbe perseguire.  Già dallo scorso anno in un nostro intervento avevamo fatto presente quanto segue:

«Una opzione tuttora praticabile sarebbe quella che in Italia vi fosse un imprenditore o gruppo di imprenditori che essendo svincolati dalla zavorra della gestione pubblica riuscissero a far decollare un vettore realmente indipendente. Si tratterebbe di formare una compagnia che nella fase iniziale limiti le ambizioni all’area continentale e mediterranea riuscendo però a competere con i consolidati vettori low cost. Per quanto può sembrare strano esiste un precedente molto vicino a sostegno di questa ipotesi, in Grecia. La Aegean Airlines originariamente era una compagnia executive, poi si è trasformata in vettore di linea e oggi è oggi il maggior vettore ellenico, avendo assorbito anche la ex compagnia di bandiera Olympic».  (4)

Pochi giorni orsono, il 15 marzo scorso, il vettore ellenico ha reso noti i risultati dell’anno finanziario 2017 i quali mostrano anche per quest’anno un profitto.  Le cifre sono espresse in euro, in parentesi quelle dell’anno precedente 2016:

 

Revenue:              1.128.000.000       (1.020.000.000)

Profitto after tax:      60.365.000          (32.211.000)

Passeggeri:              13.200.000          (12.076.000)

 

Non ci risulta che lo share della compagnia sia stato acquistato da  dipendenti dell’ex vettore di bandiera, né che il governo greco abbia partecipato al lancio della compagnia, tuttavia la lezione è chiara: se si vuole si può mantenere l’italianità di un vettore aereo senza regalare il mercato italiano agli stranieri perché in fondo è questo ciò che interessa agli acquirenti. La Grecia è riuscita nell’intento, perché non dovremmo riuscirci anche noi?

Quale è l’alternativa allo spezzatino?  La soluzione più gettonata è divenire un satellite di Lufthansa come lo sono diventate le ex compagnie di bandiera svizzera, austriaca e belga. E su questo argomento è interessante  valutare quale era il potenziale che esprimevano Swissair, Sabena e Austrian Airlines quando esse erano vettori di bandiera delle rispettive nazioni, Svizzera-Belgio-Austria  prima di venir acquisite da Lufthansa, e in quali condizioni si trovino invece oggi.

Rispondere a questa domanda permette di farsi una idea di quale potrebbe essere il destino che attende Alitalia se per caso dovesse essere il vettore tedesco l’acquirente prescelto.

  • La Swiss nel 2017 ha trasportato 18.900.000 di passeggeri con 9.500 dipendenti. Ha una flotta di 91 aeromobili e vola su 136 destinazioni in 53 Paesi.
  • La Austrian Airlines nel 2017 ha trasportato 12.850.000 passeggeri con 6.700 dipendenti. Ha una flotta di 83 aerei e vola su 115 destinazioni in 46 Paesi.
  • La compagnia nata dalle ceneri di Sabena, ovvero Brussels Airlines è l’ultima arrivata nel gruppo. La sua acquisizione al 100 per cento è stata completata nel gennaio 2017. Lo scorso anno ha trasportato 9.077.000 passeggeri, con 3600 dipendenti e 48 aerei.

Ebbene quando queste compagnie erano indipendenti quale potenziale esprimevano? Erano superiori rispetto ad oggi allorche i loro numeri vengono ricompresi nel bilancio consolidato di Lufthansa? Tenendo presente che le chiusure di Sabena e Swissair sono avvenute nel 2001, prenderemo in esame l’anno 2000.

La Swissair quell’anno aveva trasportato 14.700.000 passeggeri con 7.713 dipendenti; operava su 116 destinazioni con 75 velivoli.

La Sabena aveva trasportato 10.7 milioni di passeggeri con 7.242 dipendenti; volava su 102 destinazioni con 85 aerei.

La Austrian   aveva trasportato 3.700.000 passeggeri con 5.000 dipendenti. Volava su 119 destinazioni  con 35 aerei.

 

Quindi troviamo una Swiss e una Austrian in aumento ed una Sabena in completo calo. Nel valutare tale risultato non si può prescindere dalla struttura organizzativa su cui si basa la galassia Lufthansa la quale è oggi caratterizzata da due distinti sottogruppi:

 

  • Lufthansa German Airline (che include Lufthansa CityLine e Air Dolomiti), Swiss, Austrian ;
  • il gruppo denominato Point-to-Point che comprende Eurowings, Germanwings e Brussels Airlines.

 

Brussels Airline, diretta discendente della Sabena, è stata relegata nel gruppo Point-to-Point che come avverte lo stesso Annual Report  di Lufthansa ha l’obiettivo primario “to be developed as Europe’s leading provider of direct flights”. Tradotto: fare feederaggio.

 

Nel valutare gli aumenti sostenuti da Swiss e Austrian bisogna tuttavia tenere conto dell’aumento fisiologico che ha accompagnato l’industria aerea negli anni in esame. Nell’anno 2000 i passeggeri trasportati a livello mondiale erano stati 1.672 milioni, nel 2017 sono aumentati a 4.100 milioni. In questi 17 anni il numero passeggeri dovrebbe pertanto risultare perlomeno  raddoppiato, ma solo la Austrian Airlines risulta aver perseguito tale traguardo, mentre addirittura  la Brussels Airlines ha visto i suoi passeggeri diminuire invece che aumentare.

 

Di certo quindi si può dire che almeno due compagnie su tre non sono cresciute come forse avrebbero potuto crescere se fossero rimaste indipendenti. A ulteriore riprova  citiamo il caso di altri vettori rimasti indipendenti:

La SAS nell’anno 2000 aveva trasportato 23 milioni di passeggeri e ha chiuso il 2017 con 29 milioni; la British Airways  Nell’anno 2000 aveva trasportato 38.6 milioni di passeggeri contro i 45.1 milioni del 2017; la portoghese TAP nell’anno 2000 trasportò 5.3 milioni di passeggeri, nel 2017 ha toccato i  14.274 milioni.

 

Ve ne è abbastanza per dire che chi finisce controllato da un altro vettore, leggasi Lufthansa,  non fa il bene del suo paese ma -come è ovvio che sia- quello del paese controllore.

 

 “vi ricordate i Pigs, che in inglese vuol dire maiali, ma in sigla sta per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna? Erano i Paesi del Sud Europa che rischiavano la bancarotta al culmine della crisi dello spread. Bene, adesso tre su quattro hanno compagnie aeree di bandiera (o ex di bandiera) che macinano utili, nonostante la crisi economica generale non ancora finita. Un solo Paese su questi quattro, invece, ha una compagnia ex di bandiera tecnicamente fallita, indovinate quale. La considerazione diventa ancora più umiliante se si osserva che, in realtà, nella sigla Pigs originaria la «i» non rappresentava affatto l’Italia (forse se ne è perso il ricordo) ma l’Irlanda. Stendiamo un velo pietoso e ci fermiamo qui, evitando di paragonare Aer Lingus, e peggio ancora il colosso Ryanair, con Alitalia. “  (5)

 

Nel 2008 i “capitani coraggiosi” che difettavano però di specifica conoscenza tecnica  dell’industria aerea commerciale, portarono l’Alitalia (e l’AirOne) verso l’ennesima spiaggiatura, oggi sono ancora i capitani che ci vogliono riprovare ma almeno loro sanno bene come si porta un aereo a destinazione. Ed evidentemente sanno pure che oggi una compagnia aerea ben condotta può avere un ritorno sul capitale investito che si aggira sul dieci per  cento;  sono finiti i tempi di magra in cui, quando non si andava in rosso, il ROIC si aggirava su modeste percentuali dell’1-2 per cento. Un motivo in più decisamente allettante per credere nel progetto di una Alitalia (e relativo mercato) in mani italiane senza nefaste interferenze politiche.

 

 

 

(1) Fra le compagnie aeree una delle pioniere nella politica ESOP (Employee Share Ownership Plan) è stata la United Airlines la quale nel 1995 cedette il 55 per cento delle azioni ai dipendenti. Quando nel 2003 il Chicago Tribune fece un survey risultò che le lamentele erano calate del 74  e le malattie del 17 per cento. Ma non tutto procedette per il verso giusto  anche a causa di lotte intestine fra  chi aderì al progetto e chi ne volle rimanere fuori in primo luogo i flight attendants.

(2) “Owners understand the business” è il motto usato dagli anglosassoni per definire tale politica.

(3) Il management buyout, noto con la sigla MBO, è una operazione di acquisizione di azienda da parte di un gruppo di manager interni all’azienda che assumono la figura di manager-imprenditori. Il gruppo di manager acquirenti viene generalmente affiancato da uno sponsor  finanziario.

(4) La Stampa Economia intervista concessa da Antonio Bordoni il 5 maggio 2017 a Luigi Grassia.

(5) Così Luigi Grassia chiuse il suo articolo di cui al punto (4) il quale si intitolava: “Alitalia unica eccezione, tutte le compagnie dei Pigs fanno utili”

(6) Nel 2015 il ROIC (Return on Invested Capital) dell’intera industria aerea commerciale è stato del 9.7 ; nel 2016 del 10.3 ; nel 2017 del 9.6

 

“tratto da www.aviation-industry-news.com