
di Paola Mussoni
Il viaggio è lungo, ma l’attesa incontenibile e dall’oblò dell’aereo scorgi solo rare luci nella nera notte africana che ti separa dall’agognata meta.
Poi, finalmente, un’accecante alba apre il sipario sulle meraviglie della Namibia.
Ma attenzione: avvicinarsi a questo Paese senza essersi vaccinati contro il “mal di Namibia” lascia un profondo segno, che porterai per sempre nel tuo cuore e che ti accompagnerà per tutto il percorso della tua vita, insieme alle più diversificate esperienze che, strato su strato, colmeranno la tua esistenza e ti emozioneranno ogni qual volta ne riassaporerai il ricordo, stampato non solo in una pellicola che il tempo può sbiadire, ma soprattutto nel più profondo della tua anima.
Ma per fortuna è il solo vaccino consigliato, dato che per entrare in questo Paese non sono richieste profilassi obbligatorie.
Infatti i livelli igienici e sanitari sono buoni; nelle principali città e negli hotel l’acqua è potabile, anche se è sempre bene prendere delle precauzioni, ed i servizi igienici sono dislocati anche nei posti più isolati e sperduti, e ben tenuti!

La ricettività è di buon livello e per tutti i gusti, dai campeggi, ben organizzati, che immergono appieno nella natura, ai confortevoli rest-camp, alle guest farm a conduzione familiare, linde e ben curate, ai ranch circondati da parchi privati popolati da svariati animali, domestici e non, ai lodge, più raffinati ed eleganti con tanto di piscine e idromassaggi con vista spettacolare su panorami mozzafiato.
Tutti offrono una cucina internazionale, tendenzialmente germanica, accanto a piatti tipici veramente gustosi, e accompagnata da buoni vini sudafricani o da birre namibiane che non hanno nulla da invidiare alle più famose birre tedesche.
Non per niente si può definire la Namibia: la “Svizzera africana”!
L’impronta teutonica…
E questo anche grazie all’ordine ed al rigore che gli ex coloni tedeschi hanno lasciato come loro impronta.
Impronta teutonica che ritrovi negli edifici delle principali cittadine, come Windhoek, la capitale, che conserva palazzi, chiese e castelli, oggi trasformati anche in hotel, con un che di tipicamente tedesco e che gode di un clima gradevole, essendo situata a 1.660 m. sugli altipiani centrali, praticamente nel centro geografico del Paese, la cui altitudine conferisce all’aria un che di frizzante e pulito, come ricorda il suo nome che significa “angolo ventilato”.
Ma lasciamo presto questa elegante e verde cittadina, per tuffarci ed immergerci pienamente nella natura, e dove se non nei parchi che custodiscono la fauna più varia e preziosa del continente africano.
E allora via verso nord percorrendo la “B1”, una delle principali strade asfaltate che attraversa longitudinalmente il Paese, e ti accorgi subito di essere tra i pochi umani che calpestano questa terra, abitata infatti solo da 1 milione e 800 mila anime distribuite su un territorio vasto circa due volte e mezzo la Germania, e mentre incontri sempre meno persone, cominci invece ad entusiasmarti nell’avvistare sempre più specie animali, come i gruppi di facoceri o di babbuini che mangiano tranquillamente lungo il ciglio della strada, essendo riusciti ad oltrepassare le recinzioni che costeggiano tutte le vie che si percorrono, più o meno importanti, e che ti fanno percepire quella strana sensazione di essere tu in gabbia, osservato da tutti quegli animali che spaziano liberi in quelle lande sconfinate.
L’ Etosha National Park, uno dei più grandi parchi del mondo
Quelle sensazioni che provi nel visitare il Waterberg Plateau Park o il più vasto ed importante Etosha National Park, uno dei più grandi parchi del mondo, quando ti trovi di fronte alle maestose giraffe, che ti scrutano curiose dall’alto dei loro 5 metri portati con eleganza, quell’eleganza che viene meno quando per bere devono assumere una posizione alquanto scomoda e pericolosa, mentre per nutrirsi sfruttano la loro altezza per arrivare lì dove per altri erbivori sarebbe troppo arduo arrivare e passano spericolatamente la lunga lingua fra le enormi spine delle acacie, che fungono anche da posatoio per uccelli multicolori, dai fiori gialli molto simili alle nostre mimose in formato magnum.
Formato magnum come quegli strani uccelli con quelle belle ali piumate non atte al volo, ma che sanno correre come veri struzzi e che come vere famigliole attraversano quelle lande desolate con a capo la mamma, dietro i piccolini ed in chiusura della fila il papà, venendo da non si sa dove e andando a perdersi nel nulla.
Quel nulla che ti regala una varietà infinita di habitat, per far vivere e morire quella varietà infinita di prede e predatori nella continua lotta per la sopravvivenza.
La sopravvivenza che è legge per tutte le specie che popolano questo meraviglioso mondo, tanto che riesci anche a giustificarla dopo non essere riuscito a contare gli innumerevoli branchi di erbivori, tra antilopi saltanti, nere, rosse, impala, gnu, kudu, orici, zebre e via dicendo che purtroppo devono sfamare i meno numerosi felini.
Questa è la dura realtà a cui assisti impotente e che ti ferma il cuore, mentre, voltando lo sguardo, l’irrealtà di miraggi che luccicano al sole ti porta lontano sulle ali della fantasia.
Quei miraggi che appaiono e scompaiono sulla bianca “Pan” (pozza), che occupa la parte centrale del parco, una depressione desertica arida e salmastra che solo molto raramente vede l’acqua, e allora diviene una bassa laguna affollata da una miriade di uccelli.
Ma non è un miraggio, e non credi ai tuoi occhi, quando avvisti due enormi orecchie fra l’alta vegetazione che caratterizza e delimita in parte la piatta salina.
Sì, è proprio un bell’esemplare di elefante maschio che erra solitario con la sua enorme e maestosa mole nella foresta di mopani, tipica vegetazione molto diffusa ad Etosha.
Mentre, poco oltre, ecco che ti ritrovi anche quei posteriori così ingombranti dei cuccioli di elefante, che ispirano un’infinita tenerezza, insieme alle loro madri e zie che li proteggono amorevolmente e che, con la loro proverbiale “memoria da elefante”, li conducono ad abbeverarsi alle esigue pozze d’acqua dove si bagnano, giocano e si spruzzano acqua e terra, imparando ad usare quel misterioso ammennicolo che gli ingombra e pende davanti agli occhi e che scoprirà tornargli utile solo col tempo e tanta esperienza.
Quelle pozze d’acqua che richiamano tutti gli esemplari che popolano il parco e che diventano quindi punto di osservazione ottimale per tutti i visitatori.
Visitatori che possono vederli ancora più tranquillamente e comodamente seduti sulle panchine poste intorno alle pozze vicine ai 3 campi, dove si può alloggiare all’interno del parco, e che di notte vengono illuminate, ed è certamente un’esperienza unica ed indimenticabile.
L’incredibile regione del Damaraland
Come indimenticabile è, usciti dal parco Etosha e procedendo verso sud, inoltrarsi nei paesaggi inverosimili della regione del Damaraland, forgiati dal tempo e dagli eventi naturali che hanno stravolto il territorio, dando forma a mostri di pietra e montagne di fate, mettendo in bilico uno sull’altro quegli enormi massi tondeggianti o creando incredibili cromatismi su quelle rocce stratificate o sgretolate dai venti e dalle sporadiche piogge, come la “montagna bruciata” o le “canne d’organo” o ancora la “foresta pietrificata”.
O quei siti pieni di fascino ancestrale come Twyfelfontein, o la “Phillip’s Cave” sulle Erongo Mountains, o quella località chiamata il “Paradiso dei Boscimani” sullo Spitzkoppe, montagna che risale alla rottura del Gondwana, dove l’uomo ha lasciato il segno del suo passaggio con incisioni e pitture rupestri.
Su quelle rocce levigate da venti perenni, sono incise in eterno le storie di uomini e animali, che hanno calpestato molto prima di me questa terra affascinante, dai mille colori e da un unico silenzio che porta gli echi dei tempi passati e ti sconvolge e ti placa come solo quel silenzio pieno di voci di millenni sa fare.
Come ti placa e ti rassicura quel cielo stellato che ti avvolge col suo manto lucente e ti offre l’inconfondibile croce del sud come punto fermo per mostrarti perennemente la via.
Paesaggi incredibili e unici…
Quella via che continua e ti conduce, attraverso deserti abitati dalle origini dei tempi e le cui sabbie formano spiagge senza fine, finalmente ad incontrare l’oceano ed a unire così mare d’acqua a mare di sabbia, in un continuum che si infrange, a nord, nei relitti di navi della Skeleton Coast naufragati ormai nelle onde delle dune dell’entroterra, a ricordo dell’impeto tumultuoso delle onde dell’oceano che le ha rapite e consegnate al deserto; a sud, sugli scogli dove Luderitz, con i suoi fiordi, i suoi pescherecci e le sue case variopinte, fa venire alla mente più paesaggi scandinavi che africani; o al centro della costa, sulla laguna e le saline di Walvis Bay con i suoi innumerevoli uccelli migratori e le colonie di
fenicotteri, dove Swakopmund, con le sue costruzioni coloniali, il suo lungomare così ordinato e curato e le sue case dal vago sapore bavarese, ti fa entrare in un’oasi tedesca, circondata dalla desertica Valle della Luna, dalle dune cittadine su cui puoi divertirti come in un luna-park, dalle oasi lineari nate nelle profonde ferite nel paesaggio prodotte dallo Swacop river, che ti conduce ad ammirare una vetusta signora di 1.500 anni, che incute rispetto con la sua mole e la sua resistenza e forza d’adattamento a situazioni climatiche così difficili, stiamo parlando della welwitschia mirabilis una pianta endemica, che non si trova in nessun’altra parte del mondo, circondata da figlie e sorelle più piccole, che, ugualmente protette, danno sfoggio delle loro fluenti capigliature come vecchie signore ben acconciate.
Ma non è la sola pianta che si dà arie da ultracentenaria, il kokerboom appartiene alla famiglia dell’aloe, ma può raggiungere i 9 metri di altezza e 1 metro di diametro durante i suoi 2/300 anni di vita. Se ne trova un’alta concentrazione nella cosiddetta “Foresta di Kokerboom” poco a nord della cittadina di Keetmanshoop, sempre sulla famosa arteria “B1”.
I colori del deserto del Namib
Piante, insieme ancora ad altre stranezze della flora distribuita in questa parte di mondo, che arricchiscono le conoscenze botaniche, ma anche musicali, sì perché una specie di piccola zucca tondeggiante, che si trova anche lungo i cigli delle piste, una volta seccata e lavorata diventerà uno strumento tipo maraca, producendo suoni con il ticchettio dei semi scossi al suo interno.
Quelle piste polverose ed infinite che ti scorrono sotto le ruote e ti conducono attraverso paesaggi senza tempo che si susseguono senza soluzione di continuità, mai uguali, e sempre ricchi di diversità ed emozioni, dai quali non vorresti mai distogliere lo sguardo da quanto ti rapiscono, fino ad essere completamente stregato dalla vista del cuore del deserto del Namib Naukluft Park: Sossusvlei.
Lì le dune si susseguono l’un l’altra sull’orizzonte a perdita d’occhio creando un mare di onde colorate, che cominci a scalare spinto dalla costante bramosia di vedere, di conoscere e di arrivare oltre quella duna, per trovarne un’altra ancora più alta da scalare, su quelle creste tormentate dal vento che le plasma in un continuo rinnovarsi di forme e di colori, che il sole dona con un avvicendarsi di ombre e di tinte che nessun’altro deserto ha mai avuto il privilegio di sfoggiare, passando dall’ocra, all’arancio, all’albicocca, all’amaranto, in una tavolozza di colori ineguagliabili, perché solo il Namib è il deserto più antico del mondo, con le dune più alte del mondo ed i colori più spettacolari del mondo!
E mentre affondi in quel mare di colori, ti accorgi che sprofondi nella sabbia mentre, divertito come un bambino, scendi a scapicollo dalle alte dune che qui raggiungono anche i 400 m. e, incredibile ma vero, una volta racchiudevano pozze d’acqua ormai prosciugate dall’implacabile sole, che le ha trasformate in bianche distese di calcare che occhieggiano e contrastano tra i rossi e i rosa delle dune.
Ma anche quando lasci Sossusvlei per inoltrarti e perderti in questo sconfinato deserto, i colori ti si ripropongono ancora diversi e ancora più incredibili, passando dal giallo delle distese erbose della savana, alle delicate sfumature di rosa, malva, celeste e grigio pastello delle pendici dei monti che contrastano col rosso o il nero delle cime, dando forma a fantasie irreali che ognuno crea nella sua immaginazione.
In un Paese dove tutto è così fantastico, così immenso e così infinitesimale come un granello di sabbia, ti puoi imbattere in pacifici grilli giganti, come in pericolose barcane di sabbia (dune a ferro di cavallo) che divorano strade, ferrovie e paesi interi, come il “paese fantasma” di Kolmanskop nelle immediate vicinanze di Luderitz, ormai abbandonati dall’uomo, e poi invasi dalla sabbia che si insinua tra i vicoli e nelle case, che ferma la corsa di binari che, ormai morti, vivono assumendo aspetti e percorsi sempre diversi, variati dalle bizzarrie dei venti sulle sabbie che procedono senza rispettare ostacoli né segnali, per far arrivare strade e ferrovie nel nulla.

Il Gran Canyon namibiano
Ma nonostante la sabbia ti attraversi la strada incurante e dispettosa, riesci a proseguire ed a raggiungere un’altra meraviglia nel profondo sud della Namibia: il Fish River Canyon, secondo solo al Gran Canyon americano, che ti stupisce pensando all’instancabile lavorio delle acque che, un tempo molto più irruente e fragorose, hanno plasmato questa gola che fende il piatto ed estremamente arido altopiano, e che con gli anni si sono ridotte ad un rivolo che oggi stentatamente scorre sul fondo di questo impervio e spettacolare canyon; alla cui estremità meridionale sorge la famosa stazione termale di Ai-Ais, dalle cui sorgenti sgorgano calde acque dalle proprietà terapeutiche, che vanno a formare una lussureggiante oasi in questa zona così arida.
Contrasti questi che risultano normali in una Terra dove i deserti fioriscono e le foreste carbonizzano, e non c’è quindi da stupirsi se, pur trovandosi in Africa, a cavallo del tropico del capricorno, si passi dal cocente sole delle zone più aride e desertiche alle gelide brezze dell’oceano e alle fredde ma limpide notti stellate.
E mentre contempli queste magnificenze della natura, vieni distratto dalle insistenti richieste di cibo di neri uccelli cangianti che vogliono partecipare al tuo spuntino, insieme agli scoiattoli di terra che ti rapiscono, da animaletti così graziosi quali sono.
Graziosi come i curiosi cuccioli di foca della colonia di Cape Cross, a nord di Swakopmund, che popolano questa riserva con decine di migliaia di esemplari, con i loro continui richiami alle madri di ritorno con il bottino di pesca nelle fragorose onde dell’oceano, che si divertono a bucare con il loro muso affusolato e baffuto, fino a ritrovare sicure il proprio cucciolo affamato, che ti emoziona con il suo rumoroso suggere il ricco latte materno con pieno appagamento.
Quelle mamme che sanno essere così attente ai bisogni del proprio piccolo, ma che sanno anche dare tutte le proprie lacrime per una banale disattenzione, che fa passare repentinamente un cucciolo dalle sue amorevoli cure, alle fauci affamate di uno sciacallo dalla gualdrappa, sempre pronto a cogliere l’occasione per potersi anche lui sfamare e rientrare così nel crudele ciclo della sopravvivenza.
Un viaggio che regala straordinarie emozioni…
Riporterai tutte queste emozioni a casa, nella tua valigia, insieme alla polvere e alla sabbia dalle tonalità più svariate, alle bamboline lavorate dalle sapienti mani delle donne herero, copia esatta dei loro variopinti, ingombranti ed unici costumi, per regalare una degna esistenza ai propri bambini dai neri occhi dolci e profondi, che ti donano sempre un sorriso e la gioia di vivere semplici ma uniche emozioni.
Come ritroverai anche nel tuo bagaglio, dei tradizionali manufatti ricavati dalle uova di struzzo, che le tribù locali lavorano sapientemente da generazioni per ricavarne perline per monili di varia foggia e che sono un ricordo sicuramente più particolare e meno compromettente per l’esistenza della fauna locale.
Ma il meraviglioso creato, che ha saputo regalare scenari impareggiabili alla prorompente natura e che ci viene offerto in questo stupefacente angolo di Africa, ci grida col suo silenzio e ci avvolge col suo calore di madre sapiente, per farci sentire partecipi di quella natura che ci è dato rispettare, per continuare a poterne far parte appieno e compartecipare al suo meraviglioso evolversi.